Recupero del carcere di Campu Perdu sull’isola dell’Asinara

Il carcere dell’Asinara dagli anni Settanta al 1998, anno della sua effettiva chiusura, è stato il Carcere di Massima Sicurezza nel quale sono stati rinchiusi criminali affiliati alle organizzazioni politiche di estrema destra e sinistra che agivano sul territorio italiano, nonché i capi delle associazioni malavitose. Prima di divenire una sorta di “carcere diffuso”, l’Asinara è stata una Colonia Penale e in seguito un Penitenziario nel quale sono stati reclusi gran parte dei banditi e dei criminali sardi. Nel 2018 l’Ente Parco Nazionale dell’Asinara bandisce, con procedura aperta, l’affidamento del servizio per la progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva per il “Recupero dell’ex diramazione carceraria di Campu Perdu sull’isola dell’Asinara”, aggiudicato dal nostro gruppo di progettazione.
Il recupero investe un’area più ampia rispetto al comparto edificato. Si tratta di una porzione di territorio di circa 80.000mq, senza segni antropici forti, spoglia di elementi vegetativi e soggetta a fenomeni di desertificazione diffusa. Il progetto preliminare, già presentato, individua nella diramazione carceraria di Campu Perdu il vertice di un sistema di attività satelliti da insediare nell’area vasta, con il fine di rendere l’intero intervento un “progetto pilota”, replicabile altrove nell’isola.
Il progetto definitivo, attualmente in corso di definizione, offre una risposta alle esigenze manifestate dall’Ente di insediare nel complesso attività didattiche e ricettive senza perdere la memoria carceraria del luogo. L’intervento assume il carattere d’insediamento umano in una situazione geografica inclemente che utilizza risorse rare, disponibili localmente, per innescare un’amplificazione crescente di interazioni positive e realizzare una nicchia ambientale fertile e auto sostenibile, le cui caratteristiche contrastano con l’intorno sfavorevole.

Il progetto si pose di migliorare la leggibilità dell’antico interno cinquecentesco pensato da Peruzzi. L’occasione fu offerta dalla precarietà statica di una porzione del muro di fondo della cappelletta Ceslao, che risultò essere realizzato a sacco e non immorsato alla controfacciata verso piazza S. Domenico e dunque pericolosamente instabile. Con la sua demolizione si è liberato il terzo angolo della cappella facilitando la ricostruzione dell’originario impianto. Gli intonaci paretali sono stati ricostruiti solo nello strato superiore di finitura, dopo essere stati raschiati con spatole, levigati con carta vetrata, spolverati e fissati. Mentre i risalti plastici scolpiti nell’arenaria da Alfonso Lombardi, nonché l’altare tardo cinquecentesco di Pietro Fiorini, sono stati descialbati e consolidati superficialmente. Una metodologia, a mezzo di micro e macro-sabbiature con diversi ugelli e inerti, è stata adottata per i capitelli corinzi e per i capitelli compositi sulle colonne libere.
Il recupero del fregio dipinto ha necessitato una lavorazione assai onerosa, poiché lo scialbo a calce che lo ricopriva era intimamente connesso ad esso. La pittura del fregio non era stata realizzata a fresco, ma con una tecnica assai diffusa che impiegava pigmenti naturali stemperati nella calce e stesi a secco. Con il tempo i pigmenti avevano perso l’adesione con il loro legante per cui parte della pittura venne inglobata dallo scialbo stesovi sopra. Per la rimozione dello scialbo si è dovuto scegliere il metodo meno invasivo, vale a dire quello meccanico, senza prefissaggio, né strappo. Al fine di preservare i pigmenti dall’attacco biologico e biodeteriogeno si è in seguito provveduto al fissaggio del fregio tramite una resina acrilica, stesa con una velina (carta giapponese) interposta per proteggere al massimo la campitura. Fissate anche le poche parti in pastiglia sopravvissute, è stata operata una reintegrazione pittorica ad acquerello intervenendo solo sullo sfondo azzurro della decorazione.
Il monumento sepolcrale si presentava coperto da diversi strati, che la normale indagine stratigrafica non consentiva d’individuare e distinguere con precisione nella loro successione. Abbiamo pertanto prelevato alcuni campioni per sottoporli all’osservazione microscopica. Essa ha rivelato per il gruppo con il Padre Eterno e per il Cristo in piedi una finitura bianca (a calce) dello stucco a base di gesso, per i busti di Bartolomeo e Ludovico Ghisilardi e le targhe, una campitura rossa sopra lo stucco. L’ipotesi che il monumento sepolcrale possa essere stato realizzato in due tempi potrebbe trovare un’ulteriore elemento di conferma. Non solo il Dio Padre in gloria ma pure il Cristo benedicente potrebbe venire assegnato al Lombardi, lasciando al Fiorini “figure grande et mascare tavoloze et scartozamenti et altre bizarie” con tutta l’approssimazione con cui sono restituiti: i busti di Bartolomeo e Ludovico sembrano prodotti in serie, tanto i caratteri fisiognomici sono sovrapponibili l’uno con l’altro.
Con la conclusione dei lavori di restauro, è stata ricollocata anche la pala d’altare realizzata da Lorenzo Sabatini per Antonio Ghisilardi nel 1572 che raffigura Cristo in gloria con i Santi Bartolomeo, Luigi di Francia e Antonio da Padova, che dal 1946 era esposta al museo diocesano.
L’esterno della cappella è stato sottoposto a un intervento di manutenzione, senza alcuna opera di ricostruzione, a esclusione della reintegrazione dei corsi di malta cementizia del basamento che sono stati scalpellati e ricostruiti con una malta a coccio-pesto. Le due facciate interessate, quella a ovest e a nord, sono state sabbiate, idrolavate e infine protette con una soluzione idrorepellente. Resti di sagramatura sono apparsi su entrambe le pareti senza distinzione fra le parti decorative e gli sfondati.

  • Luogo

    Isola dell’Asinara, Sardegna

  • Anno

    2019-incorso

  • Committente

    Ente Parco Nazionale dell’Asinara

  • Progetto architettonico

    Raggruppamento Temporaneo di Professionisti: SGLab di Giovanni Maini, Andea Sereni e C. s.a.s., Sergio Bettini, Elena Marchi, Francesco Giuseppe Sanna, Gabriele Cuccu, Ramona Vidili

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